Tessere il labirinto
di Lorenzo Mango
 
Curiosamente, o forse no, il labirinto è legato alla dimensione del tessere e della tessitura fin dalla sua origine mitologica. Teseo, si sa, per uccidere il Minotauro e non perdersi dentro i grovigli inestricabili del palazzo in cui era recluso, chiese l’aiuto di Arianna, che gli donò un filo che avrebbe dovuto svolgere lungo il percorso per riuscire, alla fine della sua missione, a risalire alla porta dalla quale era entrato. Se ci pensiamo bene, e magari con un effetto cinematografico proviamo a guardare la scena da una prospettiva rialzata, cosa vediamo se non Teseo che tesse, direi quasi letteralmente, il percorso della sua avventura? Quel filo magico e salvifico dovette andare su e giù per stanze e corridoi, dovette intrecciarsi, durante l’affanno della ricerca, sovrapporsi, girarsi in angoli, distendersi in lunghi tratti ed ogni volta che Teseo lo guardava vedeva in esso la speranza del ritorno che si svolgeva ed avvolgeva in una misteriosa trama. Verrebbe da dire, e non a sproposito, che fu quella la prima vera e propria installazione della storia della nostra cultura, una installazione salvifica, una installazione che consentì di raggiungere, di toccare il centro del mistero, e tornare indietro. Dopo averlo, quel centro buio, circondato ed avvolto dentro un bozzolo di filo -che diede forma e visibilità alla struttura misteriosa (e rischiosa) che lo avvolgeva e che, per una sorta di paradosso, prima di essere tessuta dal filo di Arianna risultava invisibile- Teseo dovette dissolverlo, quel bozzolo di filo. Quella prima installazione fu destinata ad essere transitoria, così come fu tessuta fu de-tessuta, un po’ come accade ai mandala tibetani fatti di sabbia che i monaci soffiano via quando sono finiti. Il mistero, quando è toccato o in una qualche misura rivelato, deve subito tornare nell’indistinto.
C’è un secondo incontro mitologico tra l’arte del tessere ed il labirinto ed è quello di Penelope che, nell’attesa di Ulisse, ingannava i Proci de-tessendo di notte la tela che fabbricava di giorno, in un processo infinito che mai l’avrebbe concessa in moglie ai suoi pretendenti. Il legame, in questo caso, è più metaforico ma non meno significativo. Il labirinto, stavolta, è uno stato mentale, è una sorta di vertigine dentro cui il reale sprofonda per perdersi. La vicenda che racconta Omero non può essere intesa, infatti, in una maniera troppo diretta che la rende, in una qualche misura, banale e corriva. Non è che Penelope semplicemente ingannasse i Proci (come avrebbe fatto d’altronde a lungo andare?). Fare e disfare la sua tela sta ad indicare, invece, che Penelope faceva e disfaceva il tempo ed il mondo. Il giorno lo creava, tessendolo, la notte lo scioglieva per riportarlo all’inizio e così rivivere all’infinito lo stesso infinito momento fino al ritorno di Ulisse. Tessere è, allora, una vera e propria di scrittura magica, che è labirintica perché scrive e riscrive sempre attorno a quel centro vuoto e misterioso che è il luogo dell’origine e di ogni rivelazione e che, in Omero, assume la dimensione del tempo.
Questo richiamo ad alcuni dei fondamenti mitici ed archetipici della nostra cultura ci serve per capire quanto e come, nel nostro immaginario, la tessitura ed il tessuto abbiano una valenza simbolica ed una importanza determinanti, che sappiamo cogliere quando astraiamo il concetto dal fare e tendiamo, invece, a perdere di fronte alla prassi manuale. La mano che tesse non ci sembra corrispondere più a quella immagine di “tessere il mondo” che abbiamo ben presente quando parliamo delle trame di una cultura o di un linguaggio o del tessuto semantico, che so, di un romanzo. Spiazzati da un processo che ha distinto, nei secoli, manualità e concettualità, abbiamo finito per distinguere quello che invece era unito, a non sapere più vedere la metafora simbolica nel corpo materiale della cosa. La fiber art opera proprio in questa direzione. Non si tratta, infatti, di recuperare una tradizione artigianale ma lavorare dentro i codici, materiali e simbolici, tra i materiali e le idee, di quella tradizione per ricongiungere la cesura che la storia ha operato tra la mano e la mente.
Ci sono ancora, in alcune parti del mondo, donne ed uomini che tessono sulle loro stoffe le vicende che nel corso di un anno sono intercorse nel loro villaggio. Nascite, morti, i raccolti, tutto finisce nei raccordi fra trama ed ordito e le cose della vita quotidiana diventano mondo, disegnando un labirinto di eventi e di segni. Attraverso il loro lavoro gli artisti che agiscono, in modi e forme diversi sul/col tessuto, la tessitura e l’arte del tessere si mettono in relazione con questi mondi dell’immaginario. Il loro fare li richiama, quei mondi, quasi inevitabilmente. Li richiama per intenzione e per modi spesso più che per procedimenti tecnici, nel senso che la fabbrilità della mano diventa il luogo di passaggio per accedere ad un mondo: che può essere quello del simbolo come valore assoluto ed archetipo ma anche quello proprio personale; del labirinto come immagine arcaica ma anche del labirinto quotidiano della nostra immaginazione o del nostro desiderio.