Oltre
 
di Cielo Pessione Fabrizi
 
                                                                                                                                                                                  “Chi impiccia la matassa se la sbroij."
Quando nacque questa idea di una Biennale dedicata all’arte tessile contemporanea, alla fiber art, si era sull’onda dell’entusiasmo per aver trovato nell’amerino un terreno fertile ma ancora vergine di iniziative del genere e soprattutto si era convinti della giustezza della posizione di Amelia che avrebbe acquistato così centralità e unicità rispetto alle altre grandi mostre e  appuntamenti in Italia su questo tema. E così, tentando di districare, di sbrogliare la matassa delle nostre passioni cercavamo un luogo che si prestasse ad accogliere opere diverse, raramente esposte, frutto di ricerche sperimentali legate spesso alle tecniche più tradizionali ed espressione, per questo, di profondo desiderio di libertà; quella forma di arte che principalmente utilizza i materiali flessibili, che parla il linguaggio dell’intreccio e della texture, ma anche che crea oggetti, superfici, trame per riattualizzare un fare molto antico che non ha perso in ragione di essere ma ne ha spostato le finalità.Il nostro primo pensiero fu quello di ambientare queste esposizioni all’interno del MaA, il Museo Archeologico di Amelia per permettere alla fiber art di utilizzare come cassa di risonanza del proprio discorso il museo, la sede della memoria, la raccolta del nostro passato.
Con la prima edizione, nel 2002 occupavamo gli spazi delle due sale al pianterreno, quelle che poi ospitarono la collezione permanente de “La seduzione del lusso” e che oggi, tornate libere, parrebbero poter divenire spazio espositivo per piccole mostre di arte contemporanea. Il tema era libero, le dimensioni dell’opera anche e ne venne fuori una mostra variegata, imprevedibile, con un percorso fatto di scarti e deviazioni.
Nel 2004 le opere, legate al tema del “frammento”, si mostrarono al primo piano del Museo, accanto a epigrafi, rilievi e iscrizioni e sotto lo sguardo senza tempo del Germanico, splendido bronzo dalla cui aurea carismatica era difficile affrancarsi. E questa convivenza artistica tra il reperto antico e il frammento dell’oggi permise uno sguardo diverso sull’uno e sull’altro, evidenziò un filo rosso sottile ma tenace tra l’espressione di ieri e quella odierna.
Per questa edizione, “Labirinti”, abbiamo utilizzato l’ultimo piano, quello dove ha sede anche una piccola Pinacoteca. Le opere sono sospese sulla collezione dedicata alla necropoli e dialogano mute con le numerose stele funerarie, i sarcofagi e le iscrizioni sottostanti. Ma fin dal 2002 la mostra scelse come luogo espositivo il Museo Archeologico di Amelia anche per la presenza di spazi diversi e variamente articolati come la sala Boccarini che ospitò il convegno dell’edizione del 2004 o il Chiostro Boccarini, gioiello scarno a accogliente che già da quell’anno divenne per noi teatro di performance, letture e musica, piccoli eventi spettacolari calibrati sul tema prescelto per la mostra e previsti per il giorno dell’inaugurazione. Così anche quest’anno per il quale una piccola azione scenica con lettura della sottoscritta rinverdirà quella che ormai è divenuta, per noi, una tradizione.
                                                                                                                                                                         Parè e nun esse’, è come filà e nun tesse’.
Tante volte, girando per i vicoli di Porchiano del Monte, ho sognato di vedere installazioni a cielo aperto, segni d’artista, opere dell’ingegno espressivo che potessero convivere con gli splendidi scorci che da questo paesino si aprono sulla valle del Tevere e sulle colline di lecci e ulivi.
E inoltre, col tempo, si è sempre più resa evidente per noi la necessità di trovare spazi aperti, più grandi, dove le opere potessero dialogare anche con un altro passato di questa zona. Non solo la memoria custodita della storia ma anche il territorio naturale e il borgo, l’ambiente del quotidiano realizzato nei secoli dall’uomo più semplice, dalle sue necessità di vita, dalle tradizioni e dalle feste, la terra e le case costruite nel tempo: in una parola, il paesaggio.
E allora ecco che quest’anno Porchiano del Monte ospita sulla “piattaforma” due installazioni e se nel ricordo delicato degli anziani quello era un luogo dove si ballava stretti stretti oggi speriamo di aggiungere, senza nulla togliere, un segno in più a questo spazio così carico di sentimenti, uno sguardo che sapendo da dove parte non sa dove veramente può arrivare, forse sempre più lontano, oltre l’amerino, oltre i monti, oltre boh...